Sto facendo un master sul dolore.
Il 15 maggio scorso Michele, il mio compagno, si è buttato dalla finestra del soggiorno di casa nostra un po’ prima delle 4 del mattino. L’ho scoperto perché mi ha svegliata la polizia che ha preso a scampanellare insistentemente finché non sono andata ad aprire.
Quel giorno lí, sono morta anch’io.
Ho letto le storie di vari e varie sopravvissuti/e, e anche se non è una competizione, inevitabilmente sento che la mia perdita è la maggiore di tutte. Penso che mentre con altri di tipi di legame (figlio-a, sorella, fratello, amico-a) il vincolo si basa soprattutto nel passato e un po’ nel presente, la perdita di un compagno attraversa tutta la fascia temporale possibile: il passato fatto da ricordi, il presente basato sulla quotidianità e i progetti e i sogni che appartengono al futuro. In questo momento sento che questa barretta è a zero, anzi, magari: se fosse a zero vorrebbe dire che non ricordo più le nostre gite, i viaggi, le cene fuori, i brunch, le sere davanti a netflix, le domeniche in famiglia con i nostri cagnolini e il micio, le passeggiate…questo purtroppo rimane e fa un male atroce perché è stato spazzato via, il nostro condividere quotidiano, il nostro particolare vocabolario, le canzoncine che inventavamo, i nomignoli, le nostre abitudini, tutto quell’universo di dettagli privati e di intimità che configurano una coppia. Finito, basta, non c’è più. Così come non ci sono più i viaggi previsti, i trasferimenti, i sogni di comprare una casa in compagna e avere l’orto, di avere figli, di educarli in un certo modo, di arrivare vecchietti insieme – lui decrepito, io in formissima – di vivere tranquilli, di raggiungere mete insieme. Non c’è più un “insieme”, non c’é più un “noi”, non siamo più una famiglia, sono rimasta solo io.
Ho sentito opinioni diverse sul suicidio, c’è chi lo definisce un atto di coraggio, chi di codardia; non so se è una o l’altra cosa, so che è un atto di un egoismo tremendo, almeno così lo vivo io. Che sì, l’altra persona soffriva ecc. ecc., ma io non sono stata interpellata, non mi è stato chiesto cosa ne pensavo, questa decisione mi è piovuta addosso e ora ne sto pagando le conseguenze da sola, invischiata nel dolore e da 10 giorni nella rabbia nei confronti di Michele. Sono approdata alla triade: colpa-tristezza-rabbia. Io sì che avevo visto dei segnali per cui c’era qualcosa che non andava da tempo, soprattutto le ultime 48 ore sono state strane e preoccupanti; inoltre lavoro come psicologa, per cui é ancora piú lacerante fare i conti con questa situazione, con le cose che avrei potuto fare: “se l’avessi assecondato quella volta”, “se gli avessi fatto vedere quel video in cui siamo così felici”, “se avessi anticipato l’inizio del suo accompagnamento terapeutico”…eh sì perché Michele avrebbe dovuto iniziare quello stesso lunedì mattina un percorso, alle 10.30, ma ha ben pensato di ammazzarsi prima delle 4 del mattino. Così come consiglierei di non fare a qualche mio/a paziente, sto cercando in Google risposte sui disturbi mentali: identificando adesso i sintomi e il quadro clinico, mi aggrappo all’idea che poco si può fare con una malattia mentale (senso di colpa leggermente in ribasso), ma ricordandomi che sono psicologa e non cassiera, la colpa riemerge e la sento alla gola.
Questo periodo di lutto mi sembra tutto un ossimoro in cui il pieno e il vuoto convivono dolorosamente. L’appartamento: c’eravamo trasferiti da poco, l’aveva progettato lui, si respira Michele in ogni angolo, anche se ho già buttato via le sue cose. Difatti, nonostante questo vuoto, lui è presente: nella prima tazza che gli regalai otto anni fa all’inizio della nostra relazione, nel divano che abbiamo scelto, nella disposizione dei mobili, nell’isola che usavamo i venerdì sera per il nostro rito dell’aperitivo. Ci sono le cose, ma non c’è lui, mi manca la persona con cui continuare a trasformare le esperienze in ricordi, e questa sensazione fa davvero male. Mi fa soffrire pensare che lui non esista più, a volte non mi sembra vero nonostante abbia visto cospargere le sue ceneri. E lo shock dei primi giorni sta lasciando spazio ad altro dolore, più profondo, più nero.
In questo momento é così forte che sto provando di tutto per poter stare meglio: EMDR, fiori di bach, psicoterapia, leggo libri di persone che hanno perso il proprio compagno (e sento un’invidia tremenda per chi l’ha perso per una malattia: ma magari!! L’hai potuto salutare, dirgli tutto quello che volevi, ed é una circostanza in cui c’é zero responsabilitá personale), oggi inizierò il gruppo di sostegno in chat di SOPROXI, scrivo. Spero che tutto questo serva, che arrivi il giorno in cui penserò a Michele con amore e gratitudine per il pezzo di vita condiviso, ora non é così, per niente. Ora mi manca e basta, provo solo dolore e rabbia per la sua decisione e perché, come ho detto all’inizio, anche io sono morta quel giorno. Non sarò più la persona solare di prima, questo lo so; che non significa che magari non possa in un futuro ritornare a sorridere e a stare bene, me lo auguro, ma il nodo nero nel cuore non si scioglierà mai.
Sabina