Quattro anni fa la mia amica Grazia ha preso la bici e la corda e ha detto addio. Quattro anni sono poca cosa per me, a questo punto del cammino. Sono stati anni per lo più ‘uneventful’ (che si può tradurre ‘monotoni’, ‘calmi’, ‘senza incidenti’ ma letteralmente significa ‘vuoti di avvenimenti’. È una parola un po’ desolante). Passare dai 51 ai 55 anni non è come dai 2 ai 6. Tutto è già vecchiotto ormai, non succede quasi niente che non sia già successo prima, tante volte.
Quell’addio è l’unica cosa che davvero ricordo del 2014: prima non era mai accaduto niente di simile. Di addii ce n’erano stati, sicuro, ma nessuna persona a me cara aveva mai preso la bici e la corda per scappare via da questo mondo, da questo piano di realtà, da questa dimensione orrendamente e/o meravigliosamente complessa.
Le domande che Grazia mi/ci ha lasciato sono sempre più o meno le stesse e continuano a tornare. Per me è diventata una specie di ginnastica, un allenamento per provare a fare amicizia con la morte, persino un allenamento di fede: perché mi pare sempre più impossibilmente stupido che finisca tutto qui, senza risposte. Ho idea, forse sbaglio ma ho questa idea, che lei uccidendosi abbia voluto solo fuggire. Non FINIRE, solo scappare dal dolore e andare altrove. Il suo attaccamento alla vita era chiaro e limpido in tutto il suo darsi da fare per i bambini, per farli crescere allegri, forti e sicuri, e non soltanto i suoi figli. Da maestra di nuoto quando era ancora ragazzina, poi da logopedista, da cuoca per gli scout, da tifosa di basket, da infaticabile organizzatrice di occasioni. Trovava gioia nelle cose belle, odiava Berlusconi, la violenza e la sopraffazione, viveva con trasporto l’amicizia e la confidenza, con passione il teatro, tante volte prendeva in mano con forza situazioni da cui io sarei scappata a gambe levate. E poi c’erano i suoi demoni, lei li chiamava proprio così. E li combatteva, li ha combattuti tanto. La vita era diventata troppo, o troppo poco? Dove, come è cominciato l’eccesso, qual è stata l’ultima goccia di dolore? Cosa, chi avrebbe potuto indurla a restare? E come?
Facebook mi propone i ricordi degli anni scorsi, e per prima cosa guardo la data e mi chiedo se quel giorno lì lei c’era ancora o non c’era più. E quando c’era ancora mi viene sempre in mente la frase che uno dei miei amori radiofonici, Fabio Visca (di Fabio e Fiamma), ripeteva spesso:
Eravamo felici e non sapevamo di esserlo.
Forse senza saperlo è l’unico modo. E adesso che noi «sopravvissuti», chi più chi meno, sappiamo che di felicità ne è rimasta pochina, possiamo solo allenarci a tirare su la nostra infelicità come sollevatori di pesi, a portarla in giro come somari pazienti. Sostenerla senza farci schiacciare. Posarla per riposarci. Riprenderla e quasi trovarla bella. Senza odiarla, però anche senza dargliela vinta.
(E da quest’anno, amica mia, c’è il tuo papà con te. Lasciami immaginare la tenerezza del vostro abbraccio, in quell’altra realtà, altissima e libera e fresca.)
Anna
4 Comments
Quanto assomigliava la mia bambina, incredibilmente, alla tua amica Grazia! “Trovava gioia nelle cose belle, odiava Berlusconi, la violenza e la sopraffazione, viveva con trasporto l’amicizia e la confidenza, con passione il teatro”.
Lei è andata via senza volerlo davvero, non voglio morire scriveva, ma le era diventato insopportabile vivere.
Lei la battaglia contro i suoi demoni l’ha combattuta tutta da sola (a 13 anni!), aggrappandosi disperatamente a tutto ciò che poteva farla stare bene, ma alla fine ha perso. E’ volata via la mattina di quasi sette mesi fa.
Le tue domande sono le mie domande quotidiane: chi avrebbe potuto salvarla? Cosa avrei potuto fare diversamente per indurla a restare, anche non sapendo quello che l’agitava? Quante possibilità ormai inutili mi vengono alla mente…
Della nostra realtà fisica conosciamo così poco… quando ci muoviamo dal macroscopico al microscopico tutto cambia, succedono cose che non immagineremmo mai, che descriviamo adesso con la fisica quantistica ma senza davvero comprenderle a fondo. Di fatto la nostra ignoranza è enorme.
Spero che tra queste cose adesso inimmaginabili ci sia un nostro nuovo abbraccio, un giorno.
Grazie Anna.
Domenico
Caro Domenico, mi tornano spesso in mente le parole di un’amica che secondo me descrivono bene la condizione dei sopravvissuti: in loro – in noi – si è aperta una ferita, uno squarcio, che forse non si richiuderà mai del tutto; ma da quello squarcio entra una luce che ad altri non è dato vedere. Forse è una luce di umana pietà, di maggiore coscienza della complessità e fragilità di ognuno. Saremo meno pronti a giudicare e a incasellare gli altri, saremo più pronti a cogliere segnali di difficoltà e forse, quindi, a porgere una mano. E a essere, chissà, un pochino meno ignoranti, e immaginare l’inimmaginabile 🙂
Grazie a te, e alla tua bambina di essere passata per questa vita, per quei pochi anni che però contengono un’eternità.
Meravigliosa la tua testimonianza. Spero con tutto il cuore che sia proprio come dici tu: che siano in quella realtà ~ che da qui ci è impossibile immaginare ~ dove i pensieri di un tempo sono nuvole leggere. Ti mando un abbraccio grande.
Grazie, Laura! Ti ricambio l’abbraccio.