Ciao Silvia,
Ho bisogno, urgenza, di condividere con voi ciò che mi è successo venerdì sera. Ci ho riflettuto tutto il weekend e non sono riuscita a tirare fuori dalla mia testa ciò che ho visto.
Sono uscita più tardi del solito dall’ufficio e forse per fortuna.
Camminando per raggiungere la stazione, per prendere il treno che mi avrebbe riportata a casa dopo una settimana lunga e stancante, sovrappensiero, ascoltando messaggi su WhatsApp e prestando pochissima attenzione a ciò che mi circondava, mi sono imbattuta in delle transenne, dietro le quali c’era un corpo senza vita coperto dal classico lenzuolo bianco. Una donna si era lanciata dalla finestra della sua casa appena mezz’ora prima. Avrei dovuto essere lì sotto in quel momento. C’erano i carabinieri e l’ambulanza, gente affacciata alle finestre e un silenzio assordante in una strada di Napoli che solitamente è rumorosa e caotica.
Sono rimasta ferma qualche secondo, immobilizzata e presa dal panico.
Ho guardato le facce disperate dai balconi che osservavano il corpo
sconvolte e atterrite e poi sono scappata, in preda al panico, con una voce, che mi è rimasta in testa, di un urlo di disperazione che proveniva da un interno di quell’edificio.
Ho letto, poi, che questa donna si è suicidata dalla stessa finestra da cui lo aveva, solo pochi mesi fa, fatto sua sorella.
Sono solo storie. Storie di vite e disperazione. Storie di “altro da noi”. O forse storie di troppo silenzio e troppa vergogna che lasciano vuoti di solitudine. Per me è stata una scena fortissima. Non mi era mai capitata prima e non sapevo quanto vuoto mi avrebbe lasciato dentro, pur non facendo parte della mia rete di relazioni. Non è la stessa cosa di leggere su un giornale di un nuovo suicidio, ma non lo sapevo fino a che non mi si è presentata dinnanzi questa scena.
Ho riflettuto su come sia capitata questa cosa proprio nella settimana in cui si discuteva e rifletteva su come noi possiamo parlare di suicidio all’esterno e su come si possa tutelare chi soffre, ma al tempo stesso sensibilizzare verso un problema che attanaglia molte più persone di quelle che pensiamo. E ho pensato che secondo me quella donna, se fosse stata ascoltata, da
chiunque, da un amico, da uno sconosciuto, da uno psicologo o da un familiare, se qualcuno avesse avuto orecchie per sentire la sua disperazione, avendo già perso una sorella suicida poco prima, forse quella donna sarebbe ancora viva. Forse eh. Ma in ogni caso, si è rafforzata la voglia di parlare di suicidio. Con delicatezza e tatto, con forza e vigore, con il bisogno di illuminare, mostrando strade e bellezza, cercando di fare cogliere, proprio nelle piccole cose, la possibilità di una rinascita, di una via d’uscita tutta nuova, inimmaginabile ed non immaginata. Credo che la disperazione non si possa debellare dall’animo umano, ma possiamo provare a raccontare al mondo che esiste ancora qualcosa di bello, che è l’arte, che è un bambino che ci sorride per strada, il mare che si increspa e si infrange sugli scogli o qualsiasi altra cosa possiamo ritenere superba. C’è bisogno di fare percepire al mondo che c’è un’alternativa. È proprio urgente. Perché non è più solo un fenomeno, come lo descrivevano nel 2012, degli imprenditori falliti che si suicidano per non affrontare il crack delle loro aziende (per la maggior parte). Sta diventando sempre più un fenomeno di massa e mi fa paura. Mi fa paura che, come ho letto anche da testimonianze sul vostro sito o da diverse notizie di cronaca, anche i preadolescenti ora sappiano cos’è il suicidio e lo vedano come soluzione. Ed è proprio per tutte queste persone che hanno iniziato ad avere il germe del suicidio instillato nella loro testa, che di suicidio va sì parlato, ma con le dovute parole. E forse le parole giuste non rispecchiano le nostre storie personali, che in qualche modo finiscono per accettare il suicidio per amore del suicida, forse quelle possono aiutare chi, come noi, lo ha ‘subito’. Forse le parole giuste stanno nel raccontare tutto il bello che si può trovare anche nei momenti di disperazione. La bellezza di cui riappropriarsi anche quando è tutto nero. E il supporto. Fare sapere che c’è sempre qualcuno che può tendere una mano per aiutare chi sta male. Anche solo con l’ascolto, perché spesso, almeno per me (e mi è sembrato di capire anche per le altre ragazze) parlare apertamente e senza filtri con uno sconosciuto è più facile.
Scusa per lo sproloquio, ho scritto di getto dopo due giorni in cui ho provato a farlo senza trovare parole per esprimere quello che mi risuonava nel cuore: una vera e propria urgenza.
A domani!
Sara*
*Sara è in lutto per il suicidio del padre e sta partecipando ad un gruppo in chat di progetto SOPROXI
3 Comments
Io credo che chi si toglie la vita si senta morto dentro senza vedere via di uscita di tale situazione , e in un certo senso togliendosi di mezzo toglie il suo credersi di peso agli altri, sopratutto a chi lo ama, così facendo crede di dare la possibilità di rifarsi una vita alla persona amata.
Certo chi pensa così vive un delirio perché il dolore di chi rimane credo lo assilli per tutta la vita!
Non capisco cosa intendi quando dici “accettare il suicidio per amore del suicida”, non riesco a capire, non lo accetterò MAI.
Non sono PER NULLA d’accordo che non si debba parlare di suicidio, secondo me non esiste nessuno che senta di un suicidio e pensi “TOH, sai che c’è, non ci avevo pensato, quasi quasi…”.
Non parlarne lo ammanta invece di un mistero e di una eccezionalità che non ha: ci si sente sbagliati, perché si pensa a qualcosa che “nessuno pensa”. Ed invece quel nessuno è fatto da tantissime persone, e quindi chiedere aiuto si può, non c’è motivo di sentirsi difettosi.
Mi piace molto la tua frase sulle parole giuste da usare.
Sono TOTALMENTE d’accordo sul fatto che fare prevenzione voglia dire “raccontare tutto il bello che si può trovare anche nei momenti di disperazione. La bellezza di cui riappropriarsi anche quando è tutto nero. E il supporto. Fare sapere che c’è sempre qualcuno che può tendere una mano per aiutare chi sta male.”
Mi piace talmente tanto che ne ho fatto la linea guida di una iniziativa della mia associazione per i ragazzi delle scuole medie. E speriamo che possa davvero servire.
Grazie, un abbraccio
Oh cara cara Sara! Scusami se mi prendo la libertà di appellarti così, ma posso in parte (perché la figura del padre è ancora più importante e più doloroso il distacco) comprendere tutto il tuo dolore ed il tuo bisogno di parlarne. Io sono sopravvissuta al suicidio del mio compagno, un uomo che mi ha amato più di ogni altro, che aveva a sua volta subìto il suicidio del padre e di uno zio, e che probabilmente, nonostante fossero passati tanti anni, non aveva mai elaborato. Mi chiedo anche io che se solo avessi scavato di più, invece di.pensare ché distogliere il pensiero fosse la cosa migliore, forse non sarebbe arrivato a togliersi la vita. Sono in una condizione di dolore che mi colpisce a volte come un pugno allo stomaco e mi manca terribilmente. Mi sono iscritta perché penso che condividere il proprio vissuto e le proprie emozioni con persone che stanno attraversando le stesse situazioni, mi possa aiutare. Lo spero tanto, perché nonostante tutto, ancora credo che la vita sia talmente bella, da essere vissuta al meglio. Ti abbraccio forte.