Chi mai andrebbe a vedersi una serie di Netflix incentrata su un vedovo che detesta il mondo che lo circonda?
Possiamo dire che After Life è una scommessa sul tema del lutto, che oltrepassa la categoria recentemente coniata del dramedy per inoltrarsi nell’abisso di un cuore infranto. Tony Johnson è inglese, fa il giornalista – di un giornale così locale che si occupa solo di “casi umani” o aneddoti quotidiani – e sua moglie è morta da poco di cancro. La conosciamo attraverso i video che lei ha registrato dalla sua stanza d’ospedale: lui li guarda ogni giorno, un testamento virtuale/visuale che lei gli ha lasciato per tenerlo su, conoscendo bene il carattere da orso del marito.
Il microcosmo di Tony è popolato di personaggi che lo tollerano e provano pure ad aiutarlo: il cognato, direttore del giornale, alcuni colleghi che lo devono sopportare nonostante entri al lavoro ogni giorno con idee suicide e insultando tutti come idiots, uno spacciatore e una prostituta che lo ascoltano (forse perché figure respinte dalla società borghese?).
Suo padre invece vive in un mondo mentale a sé, in una casa di riposo che Tony visita ogni giorno e in cui conoscerà l’infermiera che forse gli fornirà uno spiraglio di salvezza.
È scomodo, Tony, perché il suo dolore va oltre i limiti della sopportazione dello spettatore medio. Il suo è un amore postumo che non dona la gioia del ricordo, ma avvelena una vita che ha perso ogni senso e semplicemente non vale più la pena continuare. Soltanto la sua cagnolona gli ha fatto cambiare idea prima di provare a suicidarsi, perché non avrebbe avuto nessuno a portarle da mangiare – situazione che ricorda il finale di Umberto D. di De Sica.
Eppure, la serie e il suo protagonista colpiscono il bersaglio: Tony non riesce a farla finita, quindi decide di fregarsene di tutto e cominciare a dire e fare ogni cosa che gli passa per la testa, senza censure. Il suo sarcasmo è così distruttivo da sfiorare i limiti del ridicolo: l’attore protagonista, Ricky Gervais, che è anche ideatore e regista della serie, si assume i rischi di una riflessione sulla sofferenza, dando una prova attoriale – perlomeno a nostro vedere – di alto livello, e non scontenta neppure i fan della prima ora che lo ricordano come il più cinico e graffiante dei comici. Cinico? Sì, ma mai sul serio. Perché a muoverlo, in fin dei conti, è ancora il suo innato altruismo.
S’interroga, Tony, e interroga i suoi interlocutori. Sul senso e il non-senso di tutto. Anche negli spettatori susciterà domande, e chissà se in fin dei conti potrà aiutare, oltre che divertire con amarezza, noi che lo guardiamo. Con l’aiuto, in particolare, di un personaggio bellissimo: l’amabile vedova Anne (Penelope Wilton) che incontra spesso sulla panchina del cimitero e diventa per lui un’amica vera e per noi spettatori una saggia consigliera.
È lei a rivelargli che la felicità è meravigliosa, anche quando non siamo noi a provarla ma la doniamo agli altri.
Valentina & Anna