Da sempre la Porta di Brandeburgo è simbolo di rivoluzioni e di segni politici. A partire dal lontano 9 novembre del 1989. Oggi per la vita quotidiana di un berlinese, la Porta di Brandeburgo, nonostante l’affluenza sempre maggiore di turisti provenienti da tutte le parti del mondo, resta un luogo importante e simbolico. È qui che si tengono regolarmente manifestazioni, dimostrazioni e commemorazioni. Senza distinzione di cause e nazionalità, la Porta di Brandeburgo, come Berlino accoglie le istanze di tutti e se ne fa portavoce.
Sabato 10 settembre ha accolto il flash mob organizzato in occasione della giornata mondiale per la prevenzione del suicidio che si tiene già da due anni a questa parte grazie all’impegno di una serie di associazioni tedesche che si occupano di salute mentale.
Che cos’è un flash mob? È una forma di protesta o di “azione” che si è affermata negli ultimi anni per dare un segnale fisico su un contenuto forte. Si tratta di un raduno spontaneo di persone che ricevono poche chiare istruzioni. Lo scopo è quello di attirare l’attenzione con un semplice gesto che simboleggi il contenuto della protesta. Il gesto “simbolo” di questa azione era “tendere la mano”, lo stesso stampato sulle T-Shirt che si potevano acquistare per sostenere il progetto. Le istruzioni erano semplici: ad ogni partecipante era richiesto di trovarsi davanti alla Porta di Brandeburgo poco prima delle 12. Alle 12 in punto, al segnale acustico, ogni partecipante doveva lasciarsi cadere per terra e restare al proprio posto fino a quando una persona, (personaggi della politica e dello spettacolo), non sarebbe arrivata a tendere la mano e aiutarlo nell’alzarsi. Nel caso si fosse riusciti a tendere la mano e far rialzare tutti i partecipanti in 2 minuti, si sarebbe finanziata una campagna di sensibilizzazione nazionale sul suicidio. E così è stato.
Erano presenti circa 15 personaggi famosi e circa 400 partecipanti. Una cifra non esorbitante, in confronto alle 10.000 persone che solo in Germania ogni anno si tolgono la vita. Un numero che spaventa, così come spaventano le 4.000 persone che in Italia ogni anno scelgono di morire. Ma che ancora non indigna. Perché parlarne è la prima paura da superare. Parlarne non è facile, lo sappiamo, parlarne significare ammettere le proprie paure, significa aprire un altro canale di comunicazione, che probabilmente spaventerà il nostro interlocutore. Ho indossato quella T-Shirt con la scritta “Evitare insieme il suicidio” e le reazioni dei passanti che incrociavo mentre mi dirigevo verso la Porta di Brandeburgo sono bastate per farmi capire quanto sia difficile affrontare questo tema. Paura, rifiuto, silenzio, ritiro. Man mano che la piazza davanti alla Porta di Brandeburgo si riempiva, ci riempivamo anche di magliette bianche e sguardi solidali, di un’energia silente ma presente, di un volersi abbracciare ma avere paura di scalfire l’altro magari non pronto ad uno slancio così aperto.
E allora erano sorrisi e strette di mano, del sapere di aver dato un segno, anche piccolo nei confronti di coloro che non ci sono più, ma anche nei confronti di coloro che decideranno di continuare ad esserci.
Perché parlare serve sempre.
(Marina_SOPRoxi)