Edit Domján era la mia attrice preferita, a lei ho dedicato anche il mio blog che dimentico di aggiornare da tempo.
Chi è della mia generazione sa che cosa significavano per noi attori, attrici, cantanti. Compravamo le loro foto dal tabaccaio, tappezzavamo le nostre camerette o i nostri angoli con i ritagli di giornali che li raffiguravano. Sapevamo poco o nulla delle loro vite che immaginavamo brillanti come i sorrisi che ostentavano in quelle foto. Andavamo a vederli dal vivo: i biglietti in Ungheria erano alla portata anche degli studenti più squattrinati.
Applaudivo Edit Domján a teatro, al cinema, la seguivo in televisione, e ogni suo spettacolo era una festa perché era un’attrice straordinaria dotata anche di una voce vellutata che accarezzava i cuori.
La faccio breve.
Edit nasce a Budapest il 25 dicembre 1932 in una famiglia modesta; a 22 anni è già attrice diplomata e nel corso dei suoi diciott’anni di carriera recita in ottanta piéce teatrali e in dieci film, e innumerevoli sono le sue apparizioni in televisione.
Si sposa con un attore; divorziano ma rimangono amici.
Nel gennaio del 1972 si innamora, ricambiata, di un cantante molto popolare e di dodici anni più giovane di lei, Pál Szécsi. Malgrado dieci mesi di passione, lui non rinuncia all’alcol e lei pone fine alla loro relazione. Entrambi sono artisti di grande successo eppure persone fragili, insicure. E l’epoca, il clima, non aiutano.
Pál Szécsi nasce a Budapest nel 1944 e perde il padre all’età di dieci mesi. Nel 1956 la madre lascia lui e le due sorelle più grandi: fugge dall’Ungheria e i figli vengono cresciuti da parenti e in istituti. Szécsi si sposa a diciotto anni con una polacca, lei poi se ne torna a casa e il matrimonio finisce. Altri amori turbolenti e infelici lo aspettano prima di conoscere Edit Domján, e tenta anche più di una volta il suicidio.
Edit ha paura della vecchiaia e della solitudine; lo confessa già a ventisette anni a una collega, che però non la prende sul serio. Per Edit il termine della vita è la soglia dei quarant’anni, il momento in cui secondo lei inizia la decadenza fisica e mentale.
Qualche settimana prima ha abortito, non vuole partorire il figlio di Szécsi che porta in grembo.
Il 25 dicembre compie quarant’anni.
Porta i regali ai familiari, torna a casa e non apre la porta all’amica che bussa, né risponde al telefono.
Tre giorni prima ha fatto sopprimere il suo adorato cane, e la mattina del 25 getta una valigia nel Danubio: contiene gli effetti personali di Szécsi che aveva ancora in casa. Il giorno dopo non si presenta al teatro per lo spettacolo pomeridiano.
La polizia allertata la trova impiccata. Prima si è tagliata le vene, ha assunto dei barbiturici e si è legata le mani, per non avere scampo.
Lascia lettere d’addio, in quella alla sorella di Szécsi le chiede di avere molta cura di lui.
In quelle ore Szécsi non si fa vivo; dopo sedici anni, lui e la sorella hanno il primo appuntamento telefonico con la madre, che li chiama da oltreoceano, ma lo squillo del telefono tarda: arriva solo all’alba del 25 anziché alla Vigilia e la conversazione è deludente. Szécsi affoga la delusione nell’alcol e trascorre il Natale in uno stato di semincoscienza. Quattordici mesi dopo si uccide anche lui.
Dopo la morte di Edit, Pál Szécsi scappa dall’Ungheria, va a trovare dei parenti nella Germania Occidentale e spera di rivedere sua madre. L’incontro non va in porto e dopo qualche mese torna a Budapest dove riprende a esibirsi, ma il dolore, il male di vivere non passa e nell’aprile del 1974 il sesto tentativo di suicidio gli riesce.
Riposano nello stesso cimitero di Budapest, non insieme ma non distanti.
Per me Edit Domján rimarrà sempre la splendida Candida di Shaw, l’ultimo personaggio che ha interpretato, e Pál Szécsi la voce ungherese de L’arca di Noè di Sergio Endrigo.
Andrea Rényi
[Andrea Rényi è nata in Ungheria, vive a Roma dal 1973. Docente di lingue, poi mediatrice linguistica, da quindici anni traduce dall’ungherese narrativa e saggistica per l’editoria. Ha tradotto grandi classici ungheresi come I ragazzi di via Pál di Ferenc Molnár per Salani, Il vecchio farabutto di Kálmán Mikszáth, Viaggio intorno al mio cranio di Frigyes Karinthy, Azarel di Károly Pap e grandi autori contemporanei come Péter Nádas, Magda Szabó, György Dragomán, György Konrád, László F. Földényi. Collabora da anni anche con varie riviste letterarie cartacee e online.]