Uno dei libri importanti che hanno avuto la (s)ventura di uscire in piena pandemia, con relativo ‘lockdown’ (marzo 2020), è Anatomia di un profeta, il cui autore è una vecchia conoscenza di Soproxi: Demetrio Paolin (lo stesso di Non fate troppi pettegolezzi, a proposito del quale trovate nel blog un’intervista-chiacchierata di qualche anno fa con la sottoscritta).
Anatomia è un’opera profonda, che mette a frutto studi, immaginazioni e riflessioni dopo una gestazione lunga, certo molto più lunga dei quattro anni impiegati a scriverla. Un’opera che mescola insieme filologia ed esegesi, prosa e poesia, fiction e verità, fede e bestemmia (senza battere ciglio, Demetrio ci parla di un Dio stupratore, che “possiede” fisicamente il suo profeta, o descrive così il parto di Maria: “Il bambino è come la merda che esce dal corpo”). Ed è un’opera onesta, che però l’autore definisce impostura. Scritta in una lingua limpida e precisa, eppure eccentrica, che costringe continuamente a immaginare sottintesi e mondi alieni, scuri o accecanti, comunque inconoscibili.
Oltre alle note, costellano il testo numerose cripto-citazioni; io ne ho colte solo due o tre, da Pascoli a Mogol, ma di certo ve ne sono molte altre per me inafferrabili.
È il racconto di un’ossessione ed è anche un tributo: a Patrick, il bambino polacco undicenne che trent’anni fa, nel paese in cui Demetrio viveva, si suicidò bevendo diserbante (sono andata a cercare gli articoli di giornale dell’epoca e in realtà pare che il nome suoni così ma si scriva in modo leggermente diverso; a tal proposito, l’autore dichiara che la piccola differenza nel nome è segno della “finzione”. Un modo, a mio parere, di ribadire l’insufficienza della ‘verità giornalistica’ su questa vicenda). Una storia che ammutolisce, impossibile da raccontare (“erano venuti la televisione e i giornali e tutti dicevano male, parlavano male, pensavano male.”).
L’autore non ha paura di dire le cose più orrende e rivoltanti che possono succedere – e succedono – ai corpi delle persone. Pare proprio impuntarsi a voler schifare e spaventare a morte chi gli fa il dispetto di leggerlo. Non si tira indietro mai. Spiega e afferma che il male esiste da prima di Dio, che Dio stesso (ma soprattutto lo Jahwè del profeta) è – anche – violenza e distruzione, perché queste sono le uniche possibili premesse alla Grazia.
Veste di volta in volta i panni del profeta Geremia e quelli del povero bambino polacco, un bambino non addomesticabile, rabbioso, “troppo vivace”, crudele, che covava un dolore troppo profondo e complesso per il mondo piccolo in cui consumava in fretta la sua vita, il bambino al quale questo libro, amorevolmente e ossessivamente, si sforza di ridare esistenza, se non senso.
Non sono in grado di scrivere altro; Anatomia si avventura molto al di là della mia forza d’animo, oltre che della mia cultura e forse della mia intelligenza. Eppure, nonostante la fatica, nonostante sia un libro che non consola, si legge con passione e si abbandona a malincuore.
Se cercate in giro, troverete diverse bellissime recensioni, acute e dotte; ma a me pare che perfino a queste letture raffinate manchi sempre qualcosa, qualcosa che sta soltanto dentro il libro e di cui noialtri, qui fuori, non si potrebbe che dire male, parlare male, pensare male.
Demetrio Paolin, Anatomia di un profeta, Voland 2020
(Anna)