Abbiamo già parlato una volta di minaccia suicidaria e anche quella volta ci era venuta in aiuto la tradizione medievale (Boccaccio) permeata dalla trasposizione visiva del racconto di Nastagio degli Onesti nel ciclo di quattro dipinti di Botticelli.
Questa volta è Gianni Schicchi a offrirci uno spunto di riflessione, insieme a Giacomo Puccini che lo va a riprendere dall’inferno dantesco per una delle sue tre opere comiche in atto unico facenti parte del cosiddetto Trittico. Gianni Schicchi è un’opera divertente e leggera, ma allo stesso tempo a sfondo morale nonché quasi politico. Racconta la storia di un “nuovo ricco”, Gianni Schicchi, che viene chiamato in aiuto dalla famiglia nobile dei Donati dopo che il defunto Buoso Donati ha lasciato tutta la sua eredità a un convento di frati. In un avvincente susseguirsi di eventi e colpi di scena, gli equilibri si ribalteranno e alla fine sarà l’azione di Gianni Schicchi a mettere in atto una sorta di riscatto sociale in cui lui e la sua discendenza vincono sull’ingordigia e l’avarizia dei nobili.
Per arrivare all’epilogo, però, c’è un unico momento altamente drammatico che segna la decisione di Gianni Schicchi di aiutare i Donati: sua figlia Lauretta è innamorata del nipote dei Donati, Rinuccio. I due vorrebbero sposarsi il primo di maggio, il giorno di inizio della primavera, ma se Gianni non acconsentirà ad aiutare la famiglia, anche il sogno d’amore di Lauretta andrà in fumo… Lauretta è decisa, vuole solo il suo Rinuccio e andrà a Firenze a comprare l’anello di fidanzamento a Porta Rossa, ma se dovesse amarlo per nulla, “invano”, allora andrà sul Ponte Vecchio, non per fare acquisti ma per gettarsi nell’Arno… la sua disperazione sarebbe tale da non vedere altra via di uscita se non la morte. O con Rinuccio o senza di lui.
Scongiura il padre in una melodia così struggente e profonda da far dimenticare che ci troviamo all’interno di un’opera in realtà comica. Per di più l’aria viene cantata durante i primi venti minuti dell’opera. Senza questa preghiera intrisa di minaccia, la storia non avrebbe preso la stessa piega: senza la minaccia di Lauretta, Gianni non avrebbe acconsentito ad aiutare i Donati. La sua decisione non è un atto di altruismo verso la famiglia Donati, ma un atto di amore verso sua figlia stessa, che vede la sua conclusione quando alla fine, grazie al travestimento di Gianni, la coppia di innamorati erediterà la tenuta migliore dei Donati.
È la storia di un padre che prende in mano il sogno di una figlia e lo porta a compimento attraverso le sue migliori qualità. Quale forza lo spinge? La paura di vedere morta sua figlia in Arno? Lo convince la radicalità della scelta di Lauretta? Vita o morte? È legittimo esercitare pressione/convincimento tramite minacce suicidarie? Quanta forza creativa si nasconde dietro il pensiero della morte?
«O mio babbino caro,
mi piace, è bello, bello;
Vo’ andare in Porta Rossa
a comperar l’anello!
Sì, sì, ci voglio andare!
E se l’amassi indarno,
andrei sul Ponte Vecchio,
ma per buttarmi in Arno!
Mi struggo e mi tormento!
O Dio, vorrei morir!
Babbo, pietà, pietà!…
Babbo, pietà, pietà!»
Marina
2 Comments
La scelta drammaturgica è piuttosto forzata perché l’anello era dato alla fidanzata e non il contrario. Sarebbe stato logico che fosse stato Rinuccio a comperare l’anello. E’ una palese forzatura rispetto alla tradizione e come tutte le forzature rischia di rendere poco credibile il racconto , purtroppo, anche la stupenda aria cantata da Lauretta.
La forzatura della realtà è voluta ?
Mi chiedo così attento ai dettagli Puccini non si sia accorto di questa contraddizione nel testo.
Penso che il significato stesse che i giovani avevano già deciso di sposarsi e forse la anello sarebbe stato acquistato assieme . Non vi è qui il rituale formale e rigido dei ruoli, ma un messaggio, come sempre nelle opere di Puccini, di progressiva indipendenza del ruolo femminile.