Prendete un finlandese qualunque, fatelo guardaboschi e appassionato di parole. Diventerà poeta, giornalista, e un giorno vorrà fare lo scrittore. A pochi mesi dalla sua scomparsa (15 ottobre 2018) Arto Paasilinna è uno di quegli autori che non conosci e, quando lo scopri, un po’ ti insulti per non averlo letto prima. Piccoli suicidi tra amici, tradotto per Iperborea nel gennaio 2006, ce lo consacra ad un Olimpo nordico di leggerezza, sensibilità e acutissima ironia.
Uno spensierato pomeriggio d’estate, lontano da occhi indiscreti e anime fastidiosamente festanti, un direttore fallito ricerca con cura un anfratto in cui togliersi la vita. Il posto, però – nella malinconica Finlandia è un rischio calcolabile – è già occupato. Con risoluta cocciutaggine un vecchio generale, sfiancato da troppi anni di inattività e pace, è già al lavoro con il medesimo sinistro intento. L’incontro, sfortunato per i due diavoli ma non per il lettore, fa scaturire un’idea: perché rischiare di morire sbadatamente, con imperizia, arrabattandosi con poco dignitose soluzioni di fortuna? Serve coordinazione, stile, strategia! Morire non è certo cosa da tutti i giorni! È il germe di un sodalizio che, presto, con il pragmatismo tutto femminile di una vicepreside appassionata di cimiteri, prenderà forma e legittimazione nella prima “Libera Associazione di Morituri Anonimi” di Finlandia.
E così un libro di suicidi, sucidandi e suicidarietà, diviene un’epopea grandiosa e rocambolesca, un peregrinare funambolico e sorprendentemente comico, e ci conduce, guidati da quel mesto trio, ad esplorare gli angoli più reconditi e selvaggi d’Europa (e, forse, di noi stessi?) comodamente alloggiati sui sedili di un pullman granturismo nuovo di pacca: la “Saetta della Morte”. Con noi lettori, uno ad uno, si svelano i membri di questo sgangherato equipaggio. Ed ogni sosta, ogni storia, ogni sconsolata esistenza che raccogliamo lungo la via, è un dramma del quotidiano, un matrimonio fallito, un lavoro asfissiante, una silenziosa violenza. Il grido di aiuto privato, in forma di lettera sgrammaticata (perché “chi vive pensando al suicidio scrive con una grafia irregolare”), viene raccolto, ascoltato, diffuso, si fa voce corale, fin quasi caso diplomatico.
Gironzolando dentro e fuori la Finlandia, in una carambola di dittonghi, consonanti e impronunciabili dieresi, una sola meta ci attende e ci infervora. La morte, signori! Non una morte qualsiasi, beninteso. Un grandioso suicidio di massa, un magnifico salto nel vuoto, lanciati alla carica tra i cupi marosi del Mar Glaciale Artico! E allora via verso Capo Nord, dritti a riprendersi il destino! Ma poco a poco, impercettibilmente, la bussola impazzisce, cambia direzione, ci si volge ad Ovest a sistemare una faccenda lasciata in sospeso, e poi a Sud per un ultimo sfizio prima del trapasso – in fondo, per morire, c’è sempre tempo! – e così sempre più inesorabilmente a Sud, finché la vita ci raggiunge, prende il sopravvento, ci travolge.
Un libro dal sapore concreto, una prosa agile e sottile, garbata e dissacrante. E se è vero che “un finlandese si sente tanto più al sicuro, quanto più tenebrosa è la foresta in cui si addentra”, Arto, autista folle e un po’ incosciente, ci accompagna con passo saldo e familiare nei boschi del dolore più grande. E ci restituisce – qui sta la magia – un’ironia limpida, inaspettata ed implacabile; un ridere, un leggere e un vivere di gusto.
Protagonisti? La Vita, ovviamente, e la Natura. Sullo sfondo una Finlandia introversa, apatica e un po’ folle, macchinose paranoie geopolitiche, scaramucce del cercarsi tra i sessi e note piccolezze più continentali. E qui e là, a riscaldare pagine di insensato dolore, su laghi di nostalgie e rimpianti galleggiano bottiglie di acquavite, generosi messaggi di condivisione fraterna. Tra bramiti di renne, accampamenti di fortuna, dirupi di roccia e di senso, le boreali solitudini di uomini e donne che hanno perso la ragione per vivere, si sciolgono al tepore di vaporose mestolate d’acqua sulla stufa, legno di ontano e colpetti di frasche di betulla sulla schiena. E sotto questi immensi cieli stellati, l’oscurità che è insieme intima e terribile, baratro e rifugio, cede spazio al baluginare di racconti trasognati, crepitanti falò, bacche di ribes, salmone affumicato e uggiolare di volpi.
Un libro schietto e divertente, nostalgico e struggente testamento con cui il compianto Paasilinna sembra suggerire che il vero fine di questo errare senza meta, dentro e fuori di noi, stia nell’incontro, nella condivisione. E sopravvivere pare essere l’unico finale sensato. In fondo “fallire un suicidio non è poi la cosa più tragica al mondo: non si può riuscire sempre in tutto.”
Francesco Prost per SOPROXI
Foto di Arto Paasilinna © MARTTI KAINULAINEN – AFP
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Ottima recensione!