Che Frida Kahlo sia stata una delle artiste più rivoluzionarie dell’ultimo secolo è quasi inutile ripeterlo. Le sue rappresentazioni hanno scandalizzato nei primi anni del Novecento e continuano ancora oggi a sollevare reazioni, commenti e indignazioni.
È il caso anche del meno conosciuto dipinto “Il suicidio di Dorothy Hale” che per noi di SOPRoxi rappresenta quasi un case study, date le circostanze in cui fu realizzato e le immediate reazioni che scatenò. Per Frida fu probabilmente un tentativo ante litteram di liberare dal tabù il tema del suicidio e rappresentare il dolore per quello che è senza idealizzazioni né eufemismi.
Nell’ottobre del 1938 la nota attrice Dorothy Hale si gettò dal sedicesimo piano del grattacielo in cui alloggiava: l’Hampshire House di New York. La sera prima aveva dato una festa di addio per congedarsi dagli amici prima di intraprendere un lungo viaggio. La mattina dopo, la notizia raggiunse per prima la sua amica Clare Booth Luce, all’epoca editrice di Vanity Fair. Qualche tempo dopo l’editrice visitò una mostra di Frida Kahlo, la quale essendo venuta a conoscenza dell’accaduto, la avvicinò chiedendo notizie sulla morte dell’amica e offrendosi di dipingere un “recuerdo” in memoria della scomparsa attrice. La Booth Luce pensò che sarebbe stata una buona idea per alleviare il dolore della madre di Dorothy Hale e acconsentì.
Alla consegna del dipinto la committente si trovò davanti una rappresentazione cruda e realistica dell’accaduto che non corrispondeva alle sue aspettative. Scioccata dall’immagine, tanto da sentirsi “malata fisicamente” Clare Booth Luce non poté restituire il dipinto e prese in considerazione anche l’idea di distruggerlo. Alla fine decise di tenerlo e di far coprire le iscrizioni più esplicite. Oggi è conservato al Phoenix Art Museum in Arizona.
Il dipinto, di formato 60 x 48 cm circa, rappresenta la scena del suicidio di Dorothy Hale come una sequenza di piani che si sovrappongono uno all’altro. Sullo sfondo il grattacielo, che si confonde con la rappresentazione delle nuvole intorno a dare l’impressione ancora più forte dell’altezza dell’edificio ma allo stesso tempo anche dell’isolamento della stessa attrice prima di gettarsi dalla finestra. Piccola, al centro del grattacielo si scorge la sagoma di Dorothy Hale che si lancia dalla finestra. Man mano che compie il volo verso terra la sagoma diventa più grande fino ad assumere la posizione centrale del dipinto per concludere il suo volo – quello che l’osservatore segue in questa sequenza di immagini – sul fondo, nella parte inferiore dell’immagine. Qui giace il corpo dell’attrice, insanguinato, così pieno da sembrare ancora vivo. Indossa il suo vestito preferito (come riferì la stessa Booth Luce, si trattava del vestito di velluto nero da femme fatale) su cui è appuntato un piccolo mazzo di rose gialle. Gli occhi aperti, la staticità del corpo privo di un braccio e la pozza di sangue in cui giace non erano certo le immagini alle quali la committente aveva pensato affidando a Frida Kahlo la realizzazione delil dipinto. Nell’arte popolare messicana (al contrario dell’arte spagnola ) un retablo sta ad indicare una immagine votiva a ricordo di grazia ricevuta, appunto ex-voto. Lo scandalo di questo dipinto risiede nell’aver ribaltato il concetto di retablo – che avrebbe previsto una rappresentazione della Hale in vita, magari idealizzando un suo ritratto in vita (com’era o come sarebbe stata) se non avesse deciso di morire – con la semplice rappresentazione della realtà, ovvero il lancio dell’attrice dal grattacielo.
L’iscrizione ai piedi del cadavere e del dipinto stesso sembra dipinta con il sangue e recita “Nella città di New York il giorno 21 del mese di ottobre del 1938 alle sei del mattino si suicidò la signora DOROTHY HALE gettandosi da una finestra molto alta dell’edificio Hampshire House. In suo ricordo questo retablo avendolo eseguito. FRIDA KAHLO” . L’immagine intera assume il valore di una lapide funeraria che più che un recuerdo privato si adatta ad un cimitero e sottolinea la veridicità dell’accaduto, lontano da tutto il chiacchiericcio che anche nella New York degli anni Trenta ci sarà stato e al quale Frida Kahlo risponde con la nuda realtà. D’altronde come lei stessa amava ripetere
«Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni.»
(Marina_SOPRoxi)
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Un’altra scelta coraggiosa di Frida Kalho.