L’inverno berlinese si è svolto quasi completamente sotto il segno di Sandro Botticelli. La retrospettiva della Gemäldegalerie (Pinacoteca, nel Kulturforum) intitolata The Botticelli Renaissance, per quanto controversa ed innovativa nel voler trasmettere l’idea di un marchio Botticelli più che rivisitare l’opera dell’artista stesso, si è assicurata un vastissimo pubblico. La mostra (si è chiusa il 24 gennaio, sarà visitabile al V&A Museum di Londra) prendeva in esame la ricezione di Botticelli nel corso della storia dell’arte partendo dall’arte contemporanea per procedere a ritroso. Nella prima sala si potevano ammirare due stampe di David LaChapelle, una delle quali vede Noemi Campbell nella posa di Venere e Marte, una fotografia di Cindy Sherman che rifà il verso ad una modella botticelliana che si spreme un seno, e un estratto della imponente videoinstallazione di Bill Viola The Path, tratto dal video Going Forth By Day (2002).
Il video mostra una folta pineta nella quale diversi personaggi camminano a rilento come se fossero in processione, seguendo un ritmo lento e scandito, tanto da risultare quasi ipnotico. Probabilmente era questa l’atmosfera che Bill Viola voleva evocare nel suo video ispirandosi alla novella Ottava della Quinta Giornata del Decamerone di Boccaccio, dipinta da Sandro Botticelli intorno al 1483 in quattro episodi conservati per la maggior parte al Museo del Prado di Madrid, Nastagio degli Onesti.
Nastagio subisce lo stesso processo ipnotico quasi allucinatorio, quando si ritrova solo in questa pineta, dove si era rifugiato per dimenticare il rifiuto di una giovane donna della quale era innamorato, ma non ricambiato. Onde scampare il “desiderio d’uccidersi”, Nastagio, su consiglio di famiglia e amici si rifugia in una pineta nei pressi di Ravenna, a Classe. Qui, si palesa all’improvviso una scena assurda: una giovane nuda viene inseguita da due cani e da un cavaliere nero imbestialito. Nastagio tenta di difenderla, ma il cavaliere lo trattiene:
“Nastagio, non t’impacciare, lascia fare a’ cani e a me quello che questa malvagia femina ha meritato”
La giovine sta evidentemente scontando una pena, ovvero quella di aver rifiutato la corte del giovane e aver provocato il suicidio di colui che ora la perseguita, ovvero Guido degli Anastagi, e per di più senza neanche pentirsene. Al pari di un inferno dantesco entrambi sono dannati
“..alle pene del ninferno. Nel quale come ella discese , così ne fu e a lei e a me per pena dato, a lei di fuggirmi davanti e a me, che già cotanto l’amai, di seguitarla come mortal nimica, non come amata donna; e quante volte io la giungo, tante con questo stocco, col quale io uccisi me, uccido lei e aprola per ischiena, e quel cuor duro e freddo, nel qual mai né amor né pietà poterono entrare, con l’altre interiora insieme, sì come tu vedrai incontanente, le caccia di corpo, e dolle mangiare a questi cani”
Il suicidio in questo caso diventa doppia pena: per il suicida stesso e per la “causa” del suicidio. Ma soprattutto assume – nei caratteri grotteschi della novella che sembra quasi voler riprendere la tematica dantesca del contrappasso – i caratteri di un monito per tutte le fanciulle che si rifiutano di concedere il loro amore a gentiluomini come il cavaliere Guido degli Anastagi, il quale si trasforma in un sanguigno cavaliere nero pieno di vendetta. Di riflesso – o probabilmente per auto proiezione, diremmo noi oggi uomini e donne del XXI secolo – il protagonista della storia, Nastagio degli Onesti vede nella vicenda di Guido e della sua donna perseguitata un possibile epilogo del suo amore non ricambiato verso la sua donna. Dal momento che la scena si ripete ogni venerdì, Nastagio decide di invitare a un banchetto nella pineta amici e parenti fra cui anche la famiglia della sua amata. Tutti assistono alla scena del cavaliere che insegue la donna nuda con i cani alle calcagna e alla fine l’amata di Nastagio acconsente alle nozze con lui più che per amore, per paura del cattivo presagio palesatosi così davanti. Paura, senso di colpa, punizione e pena si mescolano in questa novella del Decameron che, intrisa di atmosfere medievali, ci lascia con un senso quasi divertito e con il monito della voce narrante verso le donne “ravignane” (di Ravenna) a tenere presente la punizione a cui potrebbero andare incontro e ad essere più disponibili e più generose di amore:
“E non fu questa paura cagione solamente di questo bene, anzi sì tutte le ravignane donne paurose ne divennero, che sempre poi troppo più arrendevoli a’ piaceri degli uomini furono, che prima state non erano”
(Marina_SOPRoxi)
3 Comments
La minaccia suicidaria è una delle più comuni manifestazioni suicidare e ha un profondo contenuto comunicativo, accompagnata di sovente da una bassa intenzionalità letale. Le minacce suicidare contribuiscono, quando non sono affrontate e gestite come eventi comunicativi, ad alterare profondamente le dinamiche relazionali nel contesto familiare, amicale ecc. Possono altresì arrivare ad agiti suicidari talvolta mortali. Sono accompagnate da un carico di emozioni, come il sentirsi in colpa, ma anche la colpevolizzazione dell’altro, sui quali è necessario lavorare precocemente e in modo incisivo.
Grazie Marina per averci riportato in modo così interessante a riflettere su questo.
Paolo
Grazie a te Paolo per aver tradotto in parole scientifiche quello che Boccaccio ha raccontato più di 700 anni fa… un SOPRoxiano ante litteram! 😀
This is an arlicte that makes you think “never thought of that!”