La verità è che non lo sai mai perché alla fine uno molla la presa.
Premetto che magari Zero non sopporterà questo ennesimo accollo, cioè l’interpretazione di tre tavole della sua storia lunga a colori, in “Ogni maledetto lunedì – su due” (Bao Publishing, 2013). Ma chennesó. Iniziamo da pagina 124:
Dopo lo schianto della “nave madre” (un’Italia stupida ma solida, mi pare) contro l’iceberg della crisi, noi sopravvissuti cerchiamo di aggrapparci ai pezzi di legno rimasti: famiglia, amore, amici, arte… Col lavoro alle Poste ci facciamo la zattera, eppure guardiamo tutti lo stesso cielo, perennemente nero, e sotto stiamo sempre fracichi, con un mostro degli abissi a minacciarci (se volete vedere questo mostro, compratevi il libro, come dice lui).
Poi ti volti e qualcuno non c’è più. Forse un’onda troppo forte. O una corrente fredda, chennesó.
Zero mostra una ragazza che va a fondo: prima ne mette a fuoco il viso e poi, a pagina 125, divide in tre parti la discesa, avvicinando il lettore al suo corpo.
Chi va giù, quasi sempre in silenzio? Le vignette mi hanno fatto pensare subito ai suicidi. E il fatto che Zero abbia disegnato una giovane, vestita con felpa e scarpe da ginnastica, una ragazza “qualunque”, non fa altro che aumentare i miei sospetti. Andiamo avanti.
Il primo commento tra virgolette, a sinistra (“le mani di ricotta”), dice del pregiudizio sui deboli, i depressi, gli emarginati, i fattoni, quelli che non si sapevano aggrappare al legno delle sicurezze. E davano l’impressione di fragilità, da sempre.
Il secondo commento, opposto (“quella non l’avrei mai detta”), rappresenta l’opinione di chi conosce una persona all’apparenza normale e viene a sapere che si è suicidata. Forse gli uomini – come genere intendo – che non danno segnali delle loro crepe interiori, sono questi suicidi istintivi, improvvisi. Che le statistiche mi correggano se sbaglio.
In fondo alla pagina, Zero ci dà la mazzata:
O forse sei tu che sei troppo impegnato a stare a galla per accorgertene.
È davvero così?
Sì Zero, sì lettori, non lo sentiamo tutti il silenzio. Gli impegni di solito lo sovrastano. E queste persone affondano in una vignetta implacabilmente nera, piena di pesci colorati con gli occhi guardinghi.
E a volte ti mandano un whatsapp triste, ti chiamano su skype con la voce rotta, ma tu e il tuo legno fracico siete troppo lontani per afferrarli.
Saltiamo pari pari metà del libro (attenzione, a pagina 194, cioè poco prima della fine della storia a colori, Zero cita Mario Monicelli, suicida anche lui) per arrivare all’ultima tavola, pagina 210:
La costante degli ultimi dieci anni della vita di Zero, e non solo della sua, è lo stare a galla. Anche con una zattera, che devi sempre farle la manutenzione, sempre e comunque a galla, sopravvivere.
Zero, mi è piaciuto trovare Pegasus e Natalie Imbruglia insieme all’idrante del G8. Una sintesi mica male di infanzia adolescenza giovinezza, di cazzeggio puro e roba serissima.
Non ho una mia risposta al tuo “chissà se…”.
La forza serve e basta, in ogni momento, insieme all’attenzione e alla pazienza.
Sia per rimanere, sia per ricordare. Sia per i sommersi, sia per i salvati.
Chi e cosa ci fornisce tutta ‘sta forza, tipo distributore di benzina, non lo so neanche. So che c’è.
Finisco qua le mie elucubrazioni, sennò l’articolo diventa un accollo troppo grande.
(Valentina_SOPRoxi)
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