Sabbione è uno strano paese.
Tutto ciò che della modernità consideriamo brutto, triste e perverso a Sabbione è norma, ordine, giustizia e perfino bellezza. Il fiume Atanor, per esempio, saturo di tinture, metalli pesanti, sostanze chimiche e tossiche: ha una meravigliosa acqua iridescente. Chi arriva a Sabbione sente una puzza insopportabile o un magnifico profumo di violetta, che sono lo stesso odore; e vede un “territorio bellissimo che è stato gradualmente deturpato”. La lingua ufficiale è l’esperanto (non a caso lingua artificiale, dunque arida), ma nessuno lo conosce davvero bene e alcuni concetti “semplicemente non esistono, non essendo inclusi nel vocabolario esperanto”. A Sabbione c’è il Dipartimento nettezza umana che si occupa di fare pulizia dopo un suicidio abusivo. Già, perché qui il suicidio è legge, ed è meticolosamente regolamentato dal Ministero Suicidi & Festività.
Il comico grottesco non inventa nulla, è una caricatura di ciò che davvero esiste. Il grottesco ci fa vergognare di tutto l’abnorme che accettiamo come normale, quando basta grattare un po’ la superficie per far venire fuori il mostro.
Il romanzo d’esordio di Gian Marco Griffi è per nulla lineare e decisamente barocco. Non c’è un unico protagonista ma racconti diversi che in comune hanno solo la patria immaginaria di Sabbione; l’autore scrive troppo, senza paura né pudore cita, storpia, rimanda, ammicca, ma nel calderone delle citazioni, delle storpiature e degli excursus butta generosamente le proprie personalissime idee comiche e satiriche, di volta in volta feroci, esilaranti e/o commoventi. Il mondo-Sabbione è una parodia moderna che tende al medievale. È un mondo politicamente corretto, che inneggia alla felicità ma ha in spregio la vita. Tutto è “sopravvalutato”, nulla è davvero importante, sicché: “Tutti i cittadini sabbionassi che abbiano superato il diciottesimo anno d’età dovranno anticipare la morte mediante autoeliminazione […] allorché sentano sopraggiungere fattori che possano minare la volontarietà della morte stessa, quali si ritengono essere vecchiaia, malattia, pericolo estremo, eccetera.” Sono perciò ben pochi a morire di vecchiaia in questo luogo infernale (“L’orribil sabbione” si trova nel VII cerchio dell’Inferno dantesco, che è appunto il cerchio dei violenti contro sé stessi) e a giustificare l’autoeliminazione – che presumibilmente darà accesso a un non meglio definito posto migliore – basterà un vaticinio di Madame Sosostris o magari un oroscopo karmico, un pronostico da aggiornare obbligatoriamente ogni anno.
Griffi ha detto che a portarlo ad affrontare intimamente questo tema è stato il suicidio di un amico (che a suo dire ha qualche tratto del Faust Umbilk del libro), anche se del “vero” suicidio non si parla affatto in questo romanzo; il suicidio, dice l’autore, “è una cosa di cui prima non sapevo nulla e di cui continuo a non sapere nulla”. Resta un segreto tra il gesto e chi lo compie. L’ossessione per questo gesto, però, fa emergere un appassionato attaccamento alla vita, che si esprime nella smania esuberante del racconto: tutto ciò di cui si può pensare/immaginare l’esistenza, esiste davvero, ed è meraviglioso da raccontare. Il banchetto linguistico che l’autore ci apparecchia è opulento e goloso.
Tra i suoi maestri, Griffi cita il T. S. Eliot di Terra desolata, Gadda, Manganelli, Pinter (per i dialoghi). La sua è una lingua piena di inventiva al servizio di un immaginario ricchissimo. C’è anche molta poesia disseminata per i capitoli, e ci sono i poeti, che secondo la quarta di copertina “scrivono pessime poesie”, ma non è vero. Il titolo del libro – che definiamo romanzo con una certa esitazione, vista la sua forma composita e poco canonica – è un verso del poeta Milo De Angelis.
All’inizio troviamo un indice guida fatto per aiutare il lettore a orientarsi tra le diverse storie e personaggi, non necessariamente legati tra loro, che agiscono a Sabbione, ma questo indice fa sembrare tutto più complicato di quanto non sia: chi si avventura tra le pagine capisce presto che non serve tentare di seguire una o più trame, e che conviene invece abbandonarsi alla narrazione, immaginosa, bizzarra e assurda ma coerente, di un mondo non proprio alla rovescia ma sghembo; un mondo in cui l’obbligo governativo è essere felici finché si può e quindi annullarsi, e la ribellione consiste nel farlo in pubblico, “per destabilizzare il sistema”.
Difficile dire se la favola abbia una o più morali; l’autore afferma che la sua più grande passione è, semplicemente, immaginare storie. Ora che il libro è uscito, dopo una faticosa gestazione durata dodici anni, vale certamente la pena di ascoltare queste sue storie e trovare quel po’ di coraggio che serve per seguirlo a Sabbione, entrandoci da turisti diffidenti per uscirne, alla fine, da temprati viaggiatori.
(Gian Marco Griffi, Più segreti degli angeli sono i suicidi, bookabook 2017)