Il Compianto sul Cristo Morto è uno dei temi più diffusi della iconografia sacra occidentale. Se ne conoscono tante versioni, forse quella di Giotto è la più famosa, ma esistono versioni anche meno famose altrettanto meritevoli. La scena rappresenta la deposizione di Cristo dalla croce al santo sepolcro e include i personaggi presenti secondo i Vangeli: la Vergine Maria, l’apostolo Giovanni, la Maddalena e le pie donne, Giuseppe d’Arimatea e/o Nicodemo.
Il gruppo scultoreo realizzato da Niccolo dell’Arca fra il 1463 e il 1490 è un unicum nel panorama italiano dell’epoca per la forza espressiva – raggiunta soprattutto grazie al linguaggio tridimensionale della scultura.
L’opera è composta da sette figure a grandezza naturale in terracotta con ritrovamenti policromi e fu realizzata su commissione della Confraternita dei Battuti. Custodita nella Pinacoteca nazionale di Bologna, solo negli anni Novanta del secolo scorso ha ritrovato la sua collocazione originaria, ovvero nella chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna. La disposizione delle figure resta tuttavia ancora incerta. Il Cristo è deposto al centro dei personaggi, la bocca ancora socchiusa, quasi spirante, il corpo morto, le dita incrociate, i segni della crocifissione. Intorno al suo corpo si raccolgono le diverse reazioni dei personaggi sopravvissuti in una drammaticità talmente omogenea da non turbare l’eventuale disposizione erronea delle statue. Ognuna di essa esprime il suo dolore in maniera diversa. Le pie donne e Maria in maniera plateale, gli uomini in maniera composta ma altrettanto intensa.
L’apostolo Giovanni ha un’espressione crucciata, fra la rabbia e l’incredulità e si porta il palmo della mano sulla guancia. Giuseppe d’Arimatea (o Nicodemo) ha degli attrezzi in mano e volge lo sguardo serio verso un’altra direzione.
Maria Salomè urla e si trattiene con le mani sulle sue stesse gambe con un gesto in cui sembra volersi far forza per non cadere a terra dal dolore. Accanto a lei si riconosce dalla posa delle mani giunte, Maria madre di Gesù che, il capo volto verso un lato, stringe le mani verso il grembo, lo stesso dal quale ha partorito quel figlio morto.
Maria Maddalena si china sul corpo di Gesù in un movimento plastico audace, reso dal velo e dall’abito che seguono il movimento verso avanti e si dipanano nel vento. Al contrario l’altra pia donna, Maria Creola, si ritrae dal corpo di Cristo in una posa di rigetto, quasi di “presa di distanza” con i palmi delle mani rivolti verso il corpo del defunto e il busto gettato all’indietro. Nonostante le direzioni contrapposte dei corpi le due donne mostrano la stessa identica espressione facciale: due tensioni corporee diverse, ma lo stesso urlo di dolore.
Quell’urlo contemporaneamente corale e muto che ci sembra quasi di udire. Nessun dipinto sarà in grado di mostrare in maniera così tattile il dolore della perdita del Cristo. Quali influenze abbiano portato lo scultore Niccolò dell’Arca (così chiamato per aver realizzato il coperchio dell’Arca di San Domenico ma firmatosi egli stesso Opus Nicolai de Apulia” sul cuscino sul quale posa il capo del Cristo) non è ancora stato appurato. Qualsiasi siano stati i modelli a cui si è riferito, lo scultore ci restituisce con il Compianto sul Cristo Morto un capolavoro di eterna umanità attraverso quell’urlo, definito da Gabriele d’Annunzio, pietrificato:
Non dimenticherò mai quel Cristo. Era di terra? Era di carne incorrotta? Non sapevo di che sostanza fosse. (…) Infuriate dal dolore, dementate dal dolore erano le Marie. (…) Ascoltami. Tu puoi immaginare cosa sia l’urlo pietrificato?
(Gabriele d’Annunzio, Il secondo amante di Lucrezia Buti, 1924)
(Marina_SOPRoxi)
1 Comment
Autore molto particolare nel ritrarre il dolore e l’orrore umano di fronte all’ineluttabile. Autore citato nella parte introduttiva del film “La settima musa”