Attenzione: quello che segue è un gigantesco ***SPOILER*** di Strappare lungo i bordi, la serie animata di Zerocalcare in programmazione su Netflix.
Il personaggio Zero (che non coincide in pieno con l’autore Michele Rech, sebbene vi si ispiri abbondantemente) fa un discorso sul suicidio che a mio parere non fa una piega. Le cose stanno proprio come dice: confusione – vergogna – ripensamenti. C’è un equilibrio pudico tra umorismo e commozione, ed è apprezzabile che non vi siano “spiegazioni”: qualcosa di cui noi sopravvissuti, anche quando rifiutiamo di ammetterlo, sentiremo per sempre il bisogno. Forse è questo che rende così… “attraente” l’argomento del suicidio per alcuni di noi: siamo sempre in cerca di un altro pezzetto del puzzle, della impossibile soluzione definitiva dell’enigma.
Personalmente, ho anche apprezzato il tentativo di raccontare la persona piuttosto che il suo ultimo gesto. Come Alice si sia tolta la vita ci interessa poco: lei è stata un miliardo di altre cose, di altri gesti, e raccontarla, provare a farla conoscere, è l’unico modo per strappare almeno un pezzetto di lei alle fauci dell’oblio. Quindi mi è sembrato un discorso disperatamente affettuoso. Smarrito, certo, ma non superficiale. È normalissima anche la riflessione sul senso di colpa: da una parte sappiamo di non avere il potere di vita e di morte sui nostri amici, dall’altra però non riusciamo a evitare di domandarci se avremmo potuto fare qualcosa per impedire quel gesto.

Ne ho discusso con un’amica; lei osservava che il personaggio Zero è ossessionato dal bisogno di trovare una spiegazione non nella vita di Alice, ma in sé stesso. Secondo lei il racconto è disseminato di spiegazioni superficiali e goffe, che banalizzano tutte le possibili difficoltà esistenziali della giovane; a me, d’altra parte, è sembrato che in fin dei conti astenersi dal voler spiegare l’inspiegabile sia una forma di umiltà e di rispetto.
Verso il finale, il personaggio Zero ha una “epifania”: la sua amica Sarah lo pone di fronte a uno specchio nel quale Zero si vede con occhi non suoi, e ne è stranito. Forse i suoi tentennamenti, la sua difficoltà a entrare generosamente in relazione, hanno contribuito a spingere Alice verso quella fine?
Più che banalizzare le difficoltà di Alice, io ho avuto la sensazione che il personaggio voglia fustigarsi illustrando la banalità della propria visione fino a quel momento. Aveva lasciato correre, aveva sottovalutato? Perché non aveva parlato con lei di più, perché non l’aveva aiutata meglio? È questo che si sta chiedendo, alla fine. Sono cose che non ci si perdona. Certo si potrebbe dire che anche questo è un pensiero egocentrato e inutile, che se l’esistenza di qualcuno diventa insostenibile non può certo essere per colpa della tua superficialità; ma da qui a perdonarsela, ce ne passa.
Insomma io ho sentito un sincero e generoso pudore. Un tentativo, almeno, di alludere al dolore senza imporre la violenza di una propria interpretazione, che il soggetto del discorso non può più confutare.
Un’altra amica osserva che nell’ultima puntata i personaggi riacquistano la loro voce, non sono più filtrati soltanto dagli occhi di Zero, dalla sua bocca e dal suo pensiero; ed è un passaggio rilevante, che parla se non altro di un tentativo di evoluzione da parte di un personaggio che ammette e riconosce la propria inettitudine alla vita, ma ancora non riesce a superarla.
Insomma, ci troviamo di fronte a un’opera che ha se non altro il merito di indurci a mettere in discussione noi stessi. Cosa siamo? Egoisti o generosi, banali o rispettosi? Saremo mai capaci di accettare? Accettare il silenzio, l’assenza di un chiaro e semplice motivo, accettare il fatto di non avere nulla da perdonare?
Continuiamo a provarci.
5 Comments
Ho trovato, da sopravvissuta al suicidio, questo film molto profondo e quando è terminato (non mi aspettavo affatto trattasse anche il tema del suicidio), dopo uno sfogo di pianto, ho provato un fortissimo senso di sollievo, un respiro finalmente profondo, una sensazione di serenità mai provata prima…noi siamo solo fili d’erba! Geniale questa metafora!
Ma è proprio questo il senso del racconto! Uscire da sé, dalle spiegazioni superficiali e autocentrate, dal protagonismo (anche nel senso di colpa) persino nel suicidio di un’altra persona.
Le spiegazioni sulla vita di lei e sul suo gesto non sono superficiali o goffe o autocentrate, sono semplicemente esterne e distratte, come lui scoprirà (o temerà semplicemente, forse erroneamente) di essere stato. Lui non sa tantissime cose di lei. E non è un difetto o un errore, è esattamente il centro e il senso della narrazione: il personaggio di Zero solo alla fine capisce che non è riuscito a vedere al difuori di sé stesso, e del suo punto di vista,, e per questo la presa di coscienza finale del fatto che non tutto ruota intorno a lui è accompagnata dall’apertura alla complessità, alle loro voci e ai punti di vista altrui, gli altri diventano narratori anche loro di una loro verità, non solo comprimari da raccontare, non sono più filtrati dalla sua visione. Solo allora Zero sarà forse libero di vedersi come il famoso filo d’erba. L’ho trovata una soluzione narrativa molto bella.
Grazie, Giuseppe! “Apertura alla complessità” mi pare molto ben detto 🙂
Anna condivido tutto, riesci a dire le cose che penso, ma molto meglio. ♥️
Grazie mille, Domenico!